Adrien Brody racconta la deportazione ne 'Il Pianista'

Alto, magro, viso spigoloso e un naso "importante". Nel vederlo entrare all'interno della sala Danieli del St. Regis Grand di Roma ti viene in mente Pinocchio, ma, lo sappiamo tutti, di questi tempi il famoso burattino ha il volto del bravo Roberto Benigni. Invece lui è Adrien Brody, il magnifico protagonista del nuovo film di Roman Polanski, "Il Pianista", vincitore della Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes.

Lo guardi mentre gesticola con le sue mani lunghe, da pianista appunto, spiegando con garbo ed eleganza cosa ha significato interpretare un personaggio tanto complesso come Wladyslaw Spzilman, un pianista di talento, ebreo polacco, riuscito a sfuggire alla deportazione durante la Seconda Guerra Mondiale: "Questo ruolo ha avuto su di me un effetto molto profondo. Mi sono sentito più vicino alla sofferenza e alla tristezza che da sempre esiste nel mondo. Mi auguro che il dolore di Szpilman possa essere universalizzato come simbolo dell’umanità, e non relegato alla sua religione, al suo essere ebreo. Il film è molto bello perché racconta la storia di un uomo, il suo viaggio e la sua sofferenza, attraverso elementi specifici, ma, al contempo, universali".

"Il Pianista" è anche una pellicola che Polanski ha fortemente voluto girare perchè ripercorre un doloroso periodo della storia polacca al quale il regista è tristemente legato: "Roman ha condiviso con me moltissimi ricordi della sua infanzia a Cracovia. E’ una storia diversa, ma mi ha permesso di capire cosa si può provare in determinati momenti. Ci sono parecchi paralleli tra Szpilman e Polanski. Entrambi hanno avuto una grande voglia di sopravvivere e, in seguito, di vivere un’esistenza piena e felice, carica d’entusiasmo e di creatività.".

Brody è convinto del valore universale del film, continua a sottolinerare che non è una pellicola sull'Olocausto, "ma il racconto della vita di una persona normale che, improvvisamente, viene distrutta e della sua voglia di sopravvivere". La sua partecipazione è commovente, tanto che viene naturale chiedergli se è di religione ebraica: "Mio padre è ebreo e mia madre cattolica, quindi sono stato educato conoscendo entrambe le religioni. Non ho mai dovuto scegliere tra le due. I miei genitori hanno ritenuto fondamentale che io avessi una mente aperta, che fossi gentile, onesto. Hanno preferito che trovassi la mia strada da solo, in assoluta libertà, ed io mi sento a mio agio con entrambe".

Un film bellissimo, ma non sentimentale, forte, duro e accusatorio, ma ricco di speranza. Un film difficile da interpretare: "E' stato un viaggio complicato e completo. Sei mesi della mia vita in cui ho vissuto in modo diverso, rinunciando a tutto. Forse c’è stata una maggiore difficoltà nelle riprese iniziali, in quanto la pellicola è stata girata con ordine cronologico inverso, quindi partendo dalla fine. Sono dovuto dimagrire moltissimo, fino ad arrivare ad un peso di 65 kg., in pochissimo tempo. Ho provato la fame e la sofferenza proprio come Szpilman e ho voluto farlo per entrare di più nella parte, per essere partecipe della gravità di una situazione estrema come la sua. L’ho fatto perché capivo l’importanza del film e di quello che il film significava per Roman Polanski. E’ stata un’esperienza positiva che mi ha cambiato profondamente e mi ha fatto capire quali sono le cose realmente importanti nella vita".

Ora però bisogna guardare avanti e pensare ai progetti futuri: "E' difficilissimo trovare qualcosa d’interessante dopo "Il Pianista". Ho letto molti copioni e molte sceneggiature, ma, per ora, non ho trovato un progetto coinvolgente. Intanto mi godo questo periodo di vacanza e continuo a leggere...".