Dolce e Gabbana: 'Se ci fanno quella multa chiudiamo'

Bollati come evasori fiscali? Mai. Stefano Gabbana e Domenico Dolce si difendono sulle pagine del Corriere della Sera. "Noi siamo delle persone perbene. Viviamo in Italia, paghiamo le tasse in Italia, non facciamo finta di vivere all’estero... - spiega deciso Gabbana - vi pare possibile che per gli stessi identici fatti, sulle stesse identiche carte, possiamo essere assolti nei processi penali e condannati in quello tributario? Noi sappiamo fare vestiti. Vogliamo fare vestiti. E invece siamo stati tirati in mezzo in una storia complicatissima di commi e codicilli".

I due stilisti si sono detti 'indignati' e lo ribadiscono. Gli avvocati hanno accettato il loro sfogo. "Sanno che noi siamo dei pazzi. Lo mettono in conto. Ma al di là dell’aspetto legale (non vogliamo neanche parlarne: siamo convinti di non avere fatto niente di scorretto) non ci rassegniamo a essere crocifissi come dei ladroni. Perché non lo siamo", ribadisce Stefano. "Calunnia calunnia, qualcosa resta - gli fa eco Domenico Dolce - Non ci va bene. Non è solo per noi. E' per l’azienda. Parliamo di migliaia di persone, con l’indotto. L’altro giorno ho dovuto incoraggiare io delle sartine. Erano sconvolte. "Ma come! Noi! Noi!" Io dico: guardate la nostra vita...". "Per esempio io ho una barca, si chiama "Regina d'Italia": non la porto mica in Francia o in Croazia! Non la intesto mica a una società! Non batte mica bandiera delle Cayman! Io sono italiano e la barca la tengo in un porto italiano. E batte bandiera italiana", spiega Gabbana. "Vale anche per me. Anni fa Stefano mi regalò un motoscafo Riva. Lo uso pochissimo, ma lo tengo a Portofino e batte bandiera italiana", continua Dolce.

Le loro case sono di proprietà. "Casa mia è intestata a me, Dolce Domenico, nato a Polizzi Generosa, residente eccetera... Mica fingo di vivere in Svizzera o a Montecarlo. Le mie residenze sono sempre state quelle: Polizzi Generosa, Palermo, Milano". "Ma che ci importa di eludere il fisco? Noi vogliamo solo starcene tranquilli a fare vestiti. Punto. D'altra parte, vuole una dimostrazione di quanto siamo ossessionati dal denaro? Fino al 2004 avevamo tutto, diciamo così, "in comunione dei beni", sottolinea Stefano. E continua: "Ma non stiamo insieme, come fidanzati, dal 2000! Se fossimo attaccati ai soldi lei pensa che avremmo tenuto i conti e l'azienda insieme per quattro anni dopo la nostra separazione? Eppure per quattro anni siamo rimasti così, metà a testa: 50 e 50. Con tutti che ci dicevano: chiaritevi, non potete lasciare le cose così, ci va di mezzo l'azienda". "Ci siamo decisi quando cominciammo a ricevere offerte da Vuitton, Gucci, Hdp... - chiarisce Domenico - Dovevamo darci una struttura aziendale all'altezza di quanto eravamo cresciuti".

Hanno venduto il marchio alla 'Gado', con sede in Lussemburgo. E Gabbana precisa: "Noi siamo un marchio mondiale. Non è che possiamo aprire in Cina o in Brasile appoggiandoci, faccio per dire, alla Cassa Rurale di Rogoredo. Una azienda che opera a livello internazionale ha delle società internazionali. Ovvio. Mica era una operazione illegale! Era tutto trasparente". Nessun inghippo di 'scatole cinesi': "Macché scatole cinesi! Ecco qua la nostra "Annual Revue 2004-2005". Pagina 27: c'è tutto, sulla nascita della "Dolce & Gabbana Luxembourg S.a.r.l. cui fanno capo la neonata Gado S.a.r.l., titolare dei due marchi, e la Dolce & Gabbana Srl, realtà operativa che integra le realtà produttive..." Non abbiamo mica fatto le cose di notte! Tutto alla luce del sole". "Tanto è vero che né la guardia di finanza né i magistrati ce l'hanno mai contestato", sottolinea nuovamente Dolce. I magistrati, però, hanno asserito che 360 milioni per il brand erano pochi... "Ma cosa vuole che ne sapessimo, noi! - ribatte Stefano - Avevamo cominciato girando per la pianura padana come consulenti delle aziende di abbigliamento e battendo gli autogrill della Bauli per farci un pandorino o della Fini per mangiarci i tortellini! Ci era scoppiata in mano una cosa più grande di noi. Non eravamo neanche in grado di valutarne il valore". Hanno richiesto una stima a Price Waterhouse Coopers, che gli disse 360 milioni, 180 a testa. Entrambi li hanno spesi in azienda: "L'azienda è la nostra creatura. La nostra figlia. Tutto va a finire là", dice Dolce. "Cosa vuole che ne facciamo dei soldi? Che li mettiamo via per quando saremo morti?", controbatte Gabbana. Per gli stilisti è tutto presunto: "Si presume, si presume... "Si presume che Domenico e Stefano si droghino". "Si presume che lavorino in ufficio completamente nudi". Cosa significa, scusi? E poi "chi" lo presume? Noi non ce la siamo fatta in casa: abbiamo chiesto alla Pwc. Loro quante aziende mondiali hanno monitorato per "presumere"? Non si lanciano accuse così su supposizioni", afferma Stefano. "Tanto più che per l'infedele dichiarazione dei redditi nel penale siamo stati assolti perché "il fatto non sussiste". Lo stesso giudizio del gup per l'omessa dichiarazione: il fatto non sussiste", precisa Domenico. Ma per i pm il valore del marchio era oltre il triplo: 1.190 milioni. Una stima ribassata a 730 milioni. Gabbana non ci sta: "Un miliardo! Ma chi l'ha mai visto, un miliardo! E' chiaro che, a distanza di anni, dopo che eravamo ulteriormente cresciuti, ci hanno sopravvalutato. Ma noi? Mica potevamo decidere facendoci leggere le carte dalla maga Cloris!".

Se confermeranno la condanna a 400 milioni di multa chiuderanno. "Cosa vuole che facciamo? Chiudiamo. Non saremmo in grado di resistere. Impossibile", dice Dolce. "Chi immagina un ricatto morale sui dipendenti sbaglia. Se ci meritassimo la condanna, niente da dire. Ma non la meritiamo. E comunque sì, purtroppo dovremmo chiudere", conferma Stefano. La serrata dei loro negozi per tre giorni ha alimentato la polemica: "Amen. Ma non potevamo tacere. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo mesi e mesi di sgocciolio...", spiega Domenico. "Vedesse certi blog... "Boicottiamo Dolce & Gabbana, non compriamo più i loro prodotti!" Per carità, moltissimi sono anche da parte nostra, però... Per quanto te ne freghi, sono cose che ti feriscono se sei uno che ha sempre pagato le tasse. Così, quando quell'assessore ha detto che non avrebbe concesso spazi "a degli evasori" mi è venuto di getto di twittare: fate schifo. Chi se l'immaginava che venisse fuori tutto casino", aggiunge Stefano. Non si è pentito. Ma è stato male. Come pure Domenico: "Il fatto è che non abbiamo mai avvertito intorno l'orgoglio delle istituzioni per quello che rappresenta Dolce & Gabbana nel mondo. Come se la moda fosse una cosa secondaria. Sentiamo l'orgoglio dei milanesi e degli italiani, sì. Ma mai abbiamo avvertito questo orgoglio delle istituzioni. Mai".

Ma per i due è un brutto momento sono stati pure denunciati da Peter Fonda. L'attore 73enne ha deciso di perseguirli penalmente a causa di una T shirt dedicata a Easy Rider, celebre film del 1969, che ritrae lo stesso Fonda, a suo dire senza la sua autorizzazione. Per mezzo dei suoi legali, Peter Fonda ha fatto sapere che la t-shirt e l'immagine che riporta lo hanno danneggiato "ledendo la sua felicità, i suoi sentimenti, la sua reputazione, la sua immagine". Il danno è stato quantificato in 6 milioni di dollari, più ogni profitto derivante dalla vendita della stessa, che costa 295 dollari dai negozi statunitensi Nordstrom, anch'essi denunciati da Peter Fonda. Anche per questa grana si vedrà.